COSÌ GIOVANE PER FARLA FINITA
- Paola Gatti
- 1 giorno fa
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Una ragazza si suicida, buttandosi giù dal quinto piano di un palazzo di Barriera. Aveva soltanto una ventina d’anni e il male di vivere che la divorava. È successo di sabato nel tardo pomeriggio, l’ultimo sabato di maggio. Le sue esili speranze si sono infrante sull’asfalto sporco di una strada ai confini con i luoghi dello spaccio, nonostante l’aulico nome che questa via porta in ricordo di un famoso compositore musicale. La giovane ha scelto di andarsene in un giorno di primavera perché forse non riusciva ad aspettarsi più nulla dalla vita. E dire che “a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio”, come cantava qualcuno (cit. “La guerra di Piero”, Fabrizio De André).

Una piccola vita si è così spezzata in tante parti. E la folla di curiosi è accorsa per capire che cosa fosse accaduto in quel luogo dove erano arrivate due ambulanze, la camionetta dell’esercito e alcune volanti. Davanti ai loro occhi si è presentata una scena da non vedere mai. Sarebbe stato meglio non avvicinarsi a quel povero corpo insanguinato, tutto ciò che è rimasto di una tenera vita.
Ci si domanda perché l’ha fatto. Perché soffriva, perché non ce la faceva più, perché aveva smesso di desiderare e perso una prospettiva. Non c’è altro da aggiungere. Rispettiamo il suo dolore, non chiediamoci nulla. Piuttosto riflettiamo sul male di vivere che attanaglia tanti di noi, ma soprattutto i più giovani. In questo mondo sbagliato che non è in grado di offrire certezze, ci si sente disorientati. Barriera inoltre con tutti i suoi problemi non aiuta di certo a stare meglio. Manca la sicurezza in generale, anche quella sociale. Per vivere in questo quartiere non bisogna essere fragili, altrimenti ci si spezza.
Ha ragione Viviana che ha commentato prima di me questa orribile notizia del suicidio di una ventenne in Barriera: sembrano forti, sembrano cinici, sembrano corazzati, ma in realtà i ragazzi sono fragili e vulnerabili. Questa realtà li rende insicuri e poi non fanno percorsi di vera crescita per formarsi ad affrontare le cattiverie della vita. Ma l'emergenza che li riguarda non è avvertita a livello sociale, non se ne parla.
Io lavoro con gli adolescenti di oggi. È da vent’anni esatti che insegno e , oggi, più che mai, la fragilità di questi ragazzi mi fa una paura immensa. In classe spesso mi ritrovo a gestire crisi di panico, sentirmi dire che il ragazzo/a soffre di depressione oppure ha istinti suicidi e che è sotto psicofarmaci. Per non parlare di chi vive il suo disagio continuo tagliandosi o dandosi all’anoressia. Di fronte a queste cose mi sento sempre più impotente perché mi rendo conto che la scuola aggiunge un carico non indifferente e che , spesso, con una classe di 30/32 non puoi stare focalizzato su una singola persona. Ci provo, ma è come combattere con i mulini a vento…