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NEL CAOS, I GIUDICI ULTIMA SALVEZZA

Sappiamo fin troppo bene che viviamo in un’epoca caotica. Tutto è diventato più veloce, ma la fretta non è mai buona consigliera. Tutti sono diventati protagonisti, ma non è affatto vero che uno vale uno. Tutti sono diventati rivendicatori di diritti, ma dei doveri non si cura più nessuno. Tutti sono diventati urlatori della propria opinione, ma le loro orecchie restano serrate al momento di ascoltare. Tutti vogliono la pagnotta, ma nessuno è capace di offrire una briciola. Tutti si industriamo a fregare gli altri, ma poi si imbizzarriscono quando si ritrovano fregati.


In questo pandemonio la macchina della giustizia fa sempre più fatica a procedere. Perché tutti litigano e nessuno tenta di fare pace, di trovare una sintesi, di tentare una mediazione. Così i giudici si trovano a dover risolvere le magagne più infinitesimali, i pasticci più meschini, le grane di condominio, le baruffe di scala A contro scala B, i litigi di pianerottolo.


Allo stesso tempo, i giudici intervengono nel caos che imperversa pure ai livelli più alti cercando di accendere una luce di buon senso laddove il buio fa comodo a tanti approfittatori.


Prendiamo il caso del TAR, il Tribunale Amministrativo Regionale (quello del Piemonte, nella fattispecie), alle prese con la decisione di Poste Italiane di sbarrare per sempre le porte di cinque uffici torinesi di servizio pubblico. Per carità, non sarà un caso eclatante, non sarà una faccenda di vita o di morte. Eppure, è un caso emblematico.



Una impresa di servizio pubblico controllata dal Ministero dell’Economia (Poste Italiane) decide la chiusura - era programmata per il giorno 16 dicembre 2024 - di cinque sportelli periferici (in corso Casale, via Guicciardini, via alla Parrocchia, via Nizza e via Verres, quest’ultimo in Barriera di Milano), nonostante la netta contrarietà del Comune di Torino, dei cittadini, dei sindacati e di molti osservatori della vita civile (giornalisti, politici, sociologi, eccetera).


La decisione di PT sarà pure animata da ottime intenzioni di ottimizzazione, di risparmio e di riorganizzazione, ma resta il fatto che penalizza migliaia di utenti che quotidianamente si servono di quegli uffici per pacchi, raccomandate, bollettini, pensioni e tante altre faccende.


Le Poste ribattono che non sono lontani (in tutti e cinque i casi) altre sedi che restano aperte, aggiungendo che molte pratiche si possono ormai sbrigare on line. Tutto vero (al netto delle persone anziane e/o con qualche disabilità per le quali cinquecento metri in più da percorrere possono essere non esattamente una piacevole passeggiata, oppure per gli analfabeti digitali che fanno enorme fatica a sbrigarsela con pc e smartphone).  



Ma il punto cruciale è questo: una società che svolge servizi di interesse pubblico (anche se non più in regime di monopolio) può svegliarsi una mattina e abbassare le serrande in cinque filiali arbitrariamente, fregandosene degli accorati appelli del Sindaco, Stefano Lo Russo, e di uno stuolo di sigle sindacali, associazioni e comitati che hanno segnalato meticolosamente le tante criticità a carico dei cittadini in caso di chiusura?


I giudici del Tar del Piemonte (ai quali si è rivolta la Città di Torino dopo aver verificato che gli appelli a un ripensamento cadevano tutti nell’indifferenza di Poste Italiane) non hanno risposto in modo definitivo. Giustamente hanno preso tempo. Il loro compito non è agire in fretta e furia. Il loro compito è valutare con attenzione e nell’interesse prevalente della collettività (nella parola “collettività” sono comprese anche le società e le imprese che a vario titolo operano sul territorio regionale).


Per ora, hanno stabilito che i cinque uffici restano aperti fino al giorno 8 gennaio 2025. Poi assumeranno le altre decisioni che a loro spettano. Magari lasceranno che PT chiuda solo due o tre uffici perché effettivamente ci sono altre loro sedi molto vicine. Oppure le loro determinazioni prenderanno altre strade. Si vedrà.


Intanto, i giudici hanno messo un argine al caos. Intanto, la giustizia ha chiarito che non si spranga nessuna porta finché le cose non si soppesano per bene. Intanto, c’è stata una posizione di buon senso, di ponderazione, di calma. Un piccolo altolà. Una piccola luce nel buio. Quel buio in cui troppi vedono l’occasione furba di farsi gli affari propri. E basta.

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