Forse in Barriera ci vorrebbe il coprifuoco. Quando il quartiere viene avvolto dalle tenebre, donne e bambini probabilmente non dovrebbero più uscire di casa perché in quelle ore per strada girano indisturbati, protetti come sono dal buio, soprattutto i malfattori. Si rischia di essere aggrediti, molestati, scippati, rapinati. E’ quanto emerge dai racconti dei nostri lettori. Qui di seguito riportiamo la segnalazione che Sara (il nome è di fantasia) ha fatto alla nostra redazione.
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È un freddo mercoledì di dicembre. Sara, appena uscita dalla palestra di via Porpora intorno alle 19,15, si avvicina alla propria auto quando un uomo la accosta per chiederle un’informazione. Vuole sapere dov’è corso Belgio. Sara si volta e risponde cortesemente allo sconosciuto. Alle sue spalle qualcuno la spinge via e le sottrae lo zainetto che lei ha appoggiato sul sedile del veicolo. Giusto il tempo di prendere atto di cosa è accaduto, che i due già si sono eclissati a bordo di un monopattino.
Nella borsa c’era tutto. Anche le chiavi dell’auto che si apre automaticamente al tocco della sua mano. Sara è spaventata, confusa, disorientata. È rimasta pure senza cellulare. Non può chiedere aiuto. Non può mettersi in marcia verso casa. E, d’altra parte, in casa senza chiavi come potrebbe entrare? Una donna la soccorre. Chiamano il 112, ma non arriva nessuno. Sara recupera i doppioni delle chiavi, ma l’incubo non finisce qui.
“Ho dovuto far cambiare le serrature. Dell’appartamento innanzitutto, poi della macchina – scrive -. Sono rimasta senza documenti. Tutto da rifare. Mi hanno portato via anche la carta di credito e i due cellulari. Nel portafoglio c’erano 80 euro. Ma il danno economico è stato molto più elevato. E poi lo spavento non ha prezzo”.
A questo si aggiunge il senso di impunità, acuito dal silenzio da parte delle forze dell’ordine. Sara ha chiesto aiuto, ma non lo avuto da chi rappresenta la prima linea di difesa contro la criminalità. Per fortuna, si è fermata quella cittadina che le ha prestato il cellulare per fare le chiamate necessarie.
“Nei giorni successivi ho visto quell’uomo che mi ha chiesto l’informazione – aggiunge Sara -. L’ho notato nel giardino di via Montanaro. È un marocchino. Riconoscerlo non è stato difficile. Era vestito come il giorno in cui, insieme con il suo amico, mi ha derubata. Ho girato un video per avere una sua immagine, ma non si vede bene”. Sara avrebbe dovuto chiamare le forze dell’ordine, ma non lo ha fatto. Non lo ha fatto perché temeva di sentirsi dire che non potevano intervenire, come la volta precedente. In lei ora resta quell'odioso senso di impunità.
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